La storia della famiglia e della falegnameria Briganti

La storia della famiglia e della falegnameria Briganti

Le prime testimonianze scritte relative alla famiglia Briganti risalgono a uno stato d’anime del 1637 redatto ad opera della Parrocchia di Sala, al tempo comprendente anche una porzione della frazione odierna di Bagnarola di Cesenatico. I Frati di Santa Maria del Carmine di Cesena, a seguito degli ingenti lasciti di terreno dei Malatesta, avevano posto le basi della “Tenuta della Bagnarola“, una importante azienda agricola ottenuta grazie ad una poderosa opera di bonifica di terreni fino ad allora paludosi. All’interno di questa tenuta, sul fiume Pisciatello da alcuni tutt’ora ritenuto il vero Rubicone, venne realizzato nel 1505 un mulino ad acqua (mulino di Bagnarola di Cesenatico forse disegnato da Leonardo Da Vinci durante il suo viaggio in Romagna) con annessa casa colonica per la famiglia del molinaro.

Proprio lo stato d’anime del 1637 testimonia come Sebastiano Briganti, padre di Domenico e di Pietro Antonio, risulti residente nella casa del mulino. Un successivo stato d’anime testimonia come nella stessa casa sia stato poi residente Domenico Briganti, fratello di Pietro Antonio Briganti, quest’ultimo sposato con Anna Maria Bazzocchi. Nel 1687 risultavano invece residenti nella stessa casa, e quindi anche loro mugnai, Pietro Innocentio Briganti, sposato con Violanta Bardiconi, e Sebastiano Briganti.

Una testimonianza più ampia viene invece da un contratto redatto dai monaci benedettini relativo l’affitto della “Tenuta della Bagnarola” (in immagine un estratto) che risale al 1786 e che recita al punto XXXIII: “Per il Molino, sarà tenuto l’Affittuario di mantenere i soliti patti col Molinaro presente Vincenzo Briganti, essendo famiglia antica, e benemerita (…)”. Da un calcolo non ancora verificato, tale Vincenzo Briganti indicato nel contratto dovrebbe essere il bisnonno del nonno di Gino Briganti.

Mentre il padre di Gino a fine 1800 lavorava ancora al mulino, Gino Briganti scelse un’altra strada e si avviò alla falegnameria come garzone di bottega da un artigiano locale chiamato “Frapètta” da cui imparò tutti i segreti del mestiere. Nella borgata di Bagnarola, come in tutti i piccoli centri, il falegname era un mestiere che comprendeva la realizzazione di un ampio ventaglio di articoli: mobili, carri da birocciaio oltre a botti e tini per la vendemmia. L’abilità di Gino lo mise in condizione dopo poco tempo di aprire la propria bottega.

Gino Briganti prese quindi a lavorare con sè suo figlio Alfredo Briganti, unico maschio nato dopo 4 femmine, e gli trasferì tutto il suo sapere; in particolare le ruote da birocciaio erano una delle specialità dell’azienda. Tuttavia con l’avvento delle automobili, con conseguente riduzione del numero di birocciai circolanti, il giro d’affari si ridusse di molto e le sole botti da vendemmia non bastavano per portare avanti la bottega; Alfredo, attorno agli anni ’60, pensò anche di chiudere tutto ed emigrare in Svizzera.

Fece un ultimo tentativo con la realizzazione di piccole botti da aceto e distillati e fortuna volle che di fronte alla storica bottega, sulla strada che negli anni ’60 portava i turisti da Cesena a Cesenatico, si fermassero alcuni Modenesi. Acquistate e testate alcune botticelle da batteria, le trovarono perfette per la produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale. Si sparse quindi la voce a Modena, e poi anche a Reggio Emilia, del bottaio di Bagnarola che realizzava piccole botti perfette per il tradizionale oro nero emiliano e la chiusura della bottega fu scongiurata.

Nel frattempo i figli di Alfredo, Silvano e Alberto, imparavano a loro volta l’arte del bottaio all’interno delle 4 mura del piccolo edificio di via Cesenatico 880, che ancora oggi molti ricordano per l’esposizione esterna di botti e tini da ambo i lati della strada: sia di fronte alla bottega che, dalla parte opposta, di fronte all’abitazione di Alfredo.

All’inizio degli anni ’90 le nuove necessità produttive di una piccola azienda presso la quale cresceva sempre di più la richiesta di botti da aceto portarono Alberto e Silvano ad inaugurare un piccolo nuovo stabilimento nella zona artigianale di Macerone, dove tutt’ora ha sede l’azienda che nel frattempo ha accresciuto notevolmente gli spazi iniziali.

L’azienda ha ampliato la gamma di prodotti in corrispondenza del terremoto dell’Emilia del 2012; il fisiologico calo di domanda di botti da parte del territorio Modenese e Reggiano ha portato l’azienda a trasferire le competenze dei mastri bottai anche nel contesto di arredi realizzati da barrique per vino. L’utilizzo del forno di essiccazione interno per la stabilizzazione dei manufatti, valore aggiunto unico in tutta Italia ed Europa, ha fatto apprezzare in pochissimo tempo i mobili della falegnameria Briganti presso tantissimi locali pubblici di tutta la penisola che richiedono elementi robusti e stabili. Una continua ricerca di originali e funzionali soluzioni d’arredo, nonchè la possibilità di personalizzazione artigianale pressochè illimitata, hanno permesso un incremento della produzione affiancata, nel 2014, dalla ripresa del settore dell’aceto balsamico.

A testimonianza del mestiere di mugnaio dell’antica famiglia Briganti, ancora oggi all’intersezione tra via Cesenatico e via Campone Sala, nella frazione di Villalta dove nel frattempo si era trasferito il mulino, c’è una rotatoria intitolata “Rotonda Mulino Briganti“.

Il cognome Briganti

Il nostro cognome “Briganti” genera spesso curiosità e viene istintivamente associato al fenomeno del brigantaggio dei primi decenni del 1800 o a chissà quale fatto cruento avvenuto in passato. In realtà, pur avendo una radice comune, non c’è alcun collegamento storico anche perché l’uso diffuso del cognome risale alla fine del medioevo mentre il fenomeno del brigantaggio è come detto molto più recente.

Per scavare fino all’origine del termine dobbiamo fare un salto indietro nel tempo fino al XV-XII secolo Avanti Cristo, quando i Briganti erano una confederazione di tribù celtiche originaria della Bassa Baviera e Svizzera; vi sono tracce del termine nel toponimo Bregenz (Brigantion), cittadina Tirolese sul lago di Costanza. Come tante altre tribù, si trasferirono dal continente alle isole britanniche e nel VI secolo a.C. alcuni guerrieri si spostarono in Irlanda; i Briganti, che vivevano in piccoli villaggi ed erano dediti all’allevamento del bestiame, erano la confederazione più potente ai tempi della conquista Romana in terre d’oltre Manica.

Traevano il loro nome dalla dea Brighid (Brigantia = di rango elevato) e la radice del termine si trova tutt’ora in numerose parole come “braint” che significa prestigioso, nobile, oppure “brigh” che significa potere. In Scozia era chiamata Bride, dal cui nome pare derivi il moderno “bride” (sposa, in inglese) ed era la dea preposta ai matrimoni e al parto. Altri toponimi che testimoniano la loro presenza sono Betanzos (Flavium Brigantium) in Spagna, Bragança in Portogallo e la Brianza (Brigantia) in Italia (in immagine il simbolo celtico della dea Brigantia).

La diffusione del nostro cognome in Italia è quindi figlia degli spostamenti delle tribù celtiche d’oltr’Alpe e quindi concentrata prevalentemente nel centro-nord Italia (Gallia cisalpina) anche se in particolare è presente in Toscana. Tra l’altro, benchè vi siano testimonianze che fino all’inizio del 1600 provino la presenza della nostra specifica famiglia a Bagnarola di Cesenatico presso il mulino della tenuta dei Frati Benedettini, Alfredo Briganti ricordava spesso come si tramandasse di padre in figlio il fatto che la nostra famiglia provenisse proprio dalla Toscana.

Con l’avvento del Cristianesimo il culto della dea Brigantia è stato sostituito dal corrispondente cattolico di Santa Brigida di Kildare, vissuta a cavallo del 500 d.c. e considerata dopo san Patrizio la principale evangelizzatrice dell’Irlanda.

Della cultura dei nostri antenati non rimane molto se non testimonianze della loro indole guerriera che nel tempo sono state ribaltate in termini come brigata, brigantino, brigante, attaccabrighe e nel verbo brigare. Inoltre questo popolo è identificato da un prevalente marker genetico Y-DNA R-L21 e chissà che un giorno, facendo un test del DNA, non ci toglieremo lo sfizio di confermare appieno la nostra discendenza celtica.

Fonti:
bighipert.blogspot.it/p/tribu-celtiche.html
it.wikipedia.org/wiki/Lista_di_tribù_celtiche
it.wikipedia.org/wiki/Briganti_(popolo)
www.croponline.org/miticeltici.htm
www.pinterest.com/writerofshadows/daughters-of-brigantia-inspiration/

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